
In scena a Napoli Michelangelo Merisi, nel fascino discreto dei tableaux vivants.
Lo spettacolo dei tableaux vivants nasce dall'idea della privazione di ciò che in scena è attoriale, per dare preminenza a ciò che è prevalente fisicità.
Quella che si può chiamare vera e propria ricerca stilistica, nasce dall'unione della sperimentazione del corpo dell’attore sulla musica, con l’approccio ad una modalità artistica antica, quella dei tableaux vivants nata nel ’700, sviluppatasi in Europa nei primi anni del ‘900 e adoperata poi da Pasolini come testimonia il mediometraggio “La Ricotta”.
A Napoli, tengono alto il nome di quest’arte gli attori de “La Conversione di un cavallo”, con la regia di Ludovica Rambelli, perfezionisti dei tableaux vivants; gli artisti anche quest’anno hanno curato l’edizione “tableaux vivants di Caravaggio”, uno studio ed un omaggio al grande pittore seicentesco ad alla sua tecnica del Chiaroscuro, riproposta con cura e maestria dai corpi vivi degli attori.
Per il 2016 è stato il Museo Diocesano, nello scenario della Chiesa di Donnaregina Nuova, ad ospitare lo spettacolo della riproposizione di ben 23 tavole di Michelangelo Merisi ad opera di otto attori teatrali che, in sequenza e a tempo della musica di Mozart, Bach, Vivaldi e Sibelius, hanno fatto rivivere le opere del famoso pittore, tra colori, drappeggi ed ombre.
Le figurazioni dei tableaux vivants, ad imitazione dei grandi dipinti del passato, inserite in una sequenza cinematografica o soggetto di una ripresa fotografica, tendono a riprodurre gli elementi strutturali dell’immagine originale: c’è un’appropriazione di modelli figurativi “alti” ed una loro traduzione nel linguaggio delle nuove arti, fotografia, cinema, televisione, moda, pubblicità.
Si è trattato spesso di operazioni sofisticate e dirette ad un pubblico acculturato, dunque quasi sempre confinate nel limbo delle sperimentazioni di autori dotati ed eclettici. Il fenomeno, giustificato o da circostanze occasionali o dall’affioramento di una cultura profonda, ha mantenuto negli anni un suo aspetto carsico. Nella storia abbiamo, quindi, molti episodi rilevanti e rare occasioni in cui la contaminazione fra tecniche, modalità espressive e spunti tematici sono stati frutto di un vero “progetto poetico”. Se volessimo cercare un precedente illustre, dovremmo ritornare indietro ad un episodio del 1863. Un pittore di grandi ambizioni e di una certa notorietà, Edouard Manet, dipinse un soggetto che al grande pubblico apparve manifestamente e provocatoriamente illogico: due giovani normalmente abbigliati erano dipinti nell’atto di conversare accanto a una donna nuda. Si trattava, almeno nelle intenzioni suggerite dal titolo, della più banale e borghese delle circostanze: un picnic. Che cosa disturbò i benpensanti e cultori della buona e rassicurante arte accademica? La donna nuda ovviamente vicino a uomini vestiti: si trattava di persona riconoscibilissima invece di una personificazione o figura mitologica e come se non bastasse, costei osservava sfrontatamente il pittore ben consapevole della sua condizione.
Al di là delle critiche di tipo tecnico, feroci e ingiuste, ben pochi si accorsero che la posizione delle figure ripeteva senza sostanziali variazioni quella di un dipinto perduto di Raffaello conosciuto attraverso un’incisione all’acquaforte di Marcantonio Raimondi e che un dipinto di Tiziano, Il concerto campestre, mostra la contemporanea presenza di figure maschili vestite e femminili nude in un contesto arcadico. A ben vedere Manet più che citare le opere predette aveva organizzato per il dipinto un vero tableaux vivant per il quale avevano posato la modella Victorine Maurent e Ferdinand Leenhoff suo futuro cognato.
Rossella Marchese
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Lo spettacolo dei tableaux vivants nasce dall'idea della privazione di ciò che in scena è attoriale, per dare preminenza a ciò che è prevalente fisicità.
Quella che si può chiamare vera e propria ricerca stilistica, nasce dall'unione della sperimentazione del corpo dell’attore sulla musica, con l’approccio ad una modalità artistica antica, quella dei tableaux vivants nata nel ’700, sviluppatasi in Europa nei primi anni del ‘900 e adoperata poi da Pasolini come testimonia il mediometraggio “La Ricotta”.
A Napoli, tengono alto il nome di quest’arte gli attori de “La Conversione di un cavallo”, con la regia di Ludovica Rambelli, perfezionisti dei tableaux vivants; gli artisti anche quest’anno hanno curato l’edizione “tableaux vivants di Caravaggio”, uno studio ed un omaggio al grande pittore seicentesco ad alla sua tecnica del Chiaroscuro, riproposta con cura e maestria dai corpi vivi degli attori.
Per il 2016 è stato il Museo Diocesano, nello scenario della Chiesa di Donnaregina Nuova, ad ospitare lo spettacolo della riproposizione di ben 23 tavole di Michelangelo Merisi ad opera di otto attori teatrali che, in sequenza e a tempo della musica di Mozart, Bach, Vivaldi e Sibelius, hanno fatto rivivere le opere del famoso pittore, tra colori, drappeggi ed ombre.
Le figurazioni dei tableaux vivants, ad imitazione dei grandi dipinti del passato, inserite in una sequenza cinematografica o soggetto di una ripresa fotografica, tendono a riprodurre gli elementi strutturali dell’immagine originale: c’è un’appropriazione di modelli figurativi “alti” ed una loro traduzione nel linguaggio delle nuove arti, fotografia, cinema, televisione, moda, pubblicità.
Si è trattato spesso di operazioni sofisticate e dirette ad un pubblico acculturato, dunque quasi sempre confinate nel limbo delle sperimentazioni di autori dotati ed eclettici. Il fenomeno, giustificato o da circostanze occasionali o dall’affioramento di una cultura profonda, ha mantenuto negli anni un suo aspetto carsico. Nella storia abbiamo, quindi, molti episodi rilevanti e rare occasioni in cui la contaminazione fra tecniche, modalità espressive e spunti tematici sono stati frutto di un vero “progetto poetico”. Se volessimo cercare un precedente illustre, dovremmo ritornare indietro ad un episodio del 1863. Un pittore di grandi ambizioni e di una certa notorietà, Edouard Manet, dipinse un soggetto che al grande pubblico apparve manifestamente e provocatoriamente illogico: due giovani normalmente abbigliati erano dipinti nell’atto di conversare accanto a una donna nuda. Si trattava, almeno nelle intenzioni suggerite dal titolo, della più banale e borghese delle circostanze: un picnic. Che cosa disturbò i benpensanti e cultori della buona e rassicurante arte accademica? La donna nuda ovviamente vicino a uomini vestiti: si trattava di persona riconoscibilissima invece di una personificazione o figura mitologica e come se non bastasse, costei osservava sfrontatamente il pittore ben consapevole della sua condizione.
Al di là delle critiche di tipo tecnico, feroci e ingiuste, ben pochi si accorsero che la posizione delle figure ripeteva senza sostanziali variazioni quella di un dipinto perduto di Raffaello conosciuto attraverso un’incisione all’acquaforte di Marcantonio Raimondi e che un dipinto di Tiziano, Il concerto campestre, mostra la contemporanea presenza di figure maschili vestite e femminili nude in un contesto arcadico. A ben vedere Manet più che citare le opere predette aveva organizzato per il dipinto un vero tableaux vivant per il quale avevano posato la modella Victorine Maurent e Ferdinand Leenhoff suo futuro cognato.
Rossella Marchese
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