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Che cos'è la Notte Nazionale del Liceo Classico

20/1/2018

 
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La Notte Nazionale del Liceo Classico è una manifestazione nata 4 anni fa dall'idea di un docente di latino e greco, Rocco Schembra, presso il Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale (CT).
A questo viaggio verso le radici della nostra storia e della nostra civiltà, quest'anno aderiscono oltre 400 licei in tutta Italia; una crescita di partecipazione esponenziale se si tiene conto che nel 2014 a partecipare erano circa un'ottantina di Licei, su tutto il territorio nazionale.
L'iniziativa, sostenuta dalla Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del Miur, anche alla luce del recente Decreto legislativo 60/2017, è animata da maratone di lettura, recitazioni teatrali, concerti, danze, dibattiti, presentazioni di libri, incontri con gli autori, cortometraggi, cineforum, mostre e degustazioni.
Quest'anno l'iniziativa si è tenuta lo scorso 12 gennaio, un venerdì sui generis per la scuola italiana, ed anche per quest'anno è stata un'occasione per mostrare l'identità del Liceo Classico attraverso i suoi studenti, nonché l'importanza ancora viva ed attuale che le materie umanistiche  hanno per il nostro patrimonio culturale e comunitario.
Dalle 18 alle 24 le aule ed i corridoi di 407 Licei Classici italiani si sono popolate di figure mitiche e storiche, dei grandi pensatori dei nostri tempi e di quelli passati: ciascun istituto ha personalizzato le proprie iniziative grazie al protagonismo degli alunni che hanno fatto scuola in modo alternativo.
Per la Campania, ad esempio, solo per citare alcuni appuntamenti: a Napoli, i ragazzi del Liceo Calamandrei hanno messo in scena Plauto ed Euripide accompagnati dal coro della scuola; mentre il Liceo Vittorio Emanuele II ha ospitato gli artisti di Mad Entertrainment, autori del capolavoro di animazione napoletano Gatta Cenerentola. Serata in musica per il Liceo Quercia di Marcianise e lo spettacolo “Le Baccanti tra Euripide e i R.E.M.”, rivisitazione in chiave rock della tragedia di Euripide. Al Tasso di Salerno si è puntato, invece, su una formula variegata con incontri ogni venti minuti che hanno trasformano le aule del Real Liceo di piazza San Francesco in un’agorà dei saperi; viaggio nei ricordi per il liceo Giannone di Benevento.
 Rossella Marchese


In Basilicata l'Albero più grande del Sud Italia

31/12/2017

 
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Giovedì 8 dicembre, per il 14mo anno consecutivo, è stato illuminato a Tito, nella provincia di Potenza, l'Albero di Natale più grande dell'intero Sud Italia.
Si appoggia dolcemente sul crinale di un monticello, ai piedi di una torre medievale e ben visibile dal raccordo autostradale Sicignano-Potenza e da buona parte del territorio del Marmo Platano Melandro, questa istallazione di luci vanta dei numeri estremamente significativi: 290 metri di altezza, 8000 luci, 256 pali a sostegno su un perimetro di 1720 metri.
L’attivazione è avvenuta a distanza con un telecomando, dalla terrazza del Centro per la Creatività Cecilia, a Tito, dove in tanti si sono radunati per assistere alla cerimonia.
Si tratta di un’iniziativa unica nel sud Italia, che ogni anni vede l’impegno di numerosi volontari dell'Associazione Anspi Carità alle prese con la preparazione di ogni dettaglio. L’albero s’illumina ai piedi della Torre ogni giorno, dalle ore 17 alle ore 5 del mattino, fino al 6 gennaio.
L’iniziativa è patrocinata dal Comune.
Sull’albero anche quest’anno brillerà la stella della solidarietà, sia con le luci ma anche con attività concrete. Infatti tutti i contributi che verranno raccolti dall’Anspi verranno devoluti in beneficenza al comitato provinciale dell’Unicef.
E come ogni anno, da 14 anni, nella serata dell'attivazione dell'Albero, lo spettacolo di un attore di successo, questa volta Dario Vergassola, che ha portato in scena il suo show “sparla con me”, un recital che presenta i momenti più esilaranti dei tanti incontri del comico nel salotto di Serena Dandini, mentre ripercorre a ritroso la strada segnata dal calore degli amici del bar, la non semplice relazione familiare con l’impertinente suocera, la movida davanti all’unico bancomat di La Spezia e i suoi ricordi di bambino. È stato lo stesso Vergassola, poi, a premere il pulsante di accensione per dare il via alla festa, accompagnata dai tradizionali fuochi pirotecnici e dalla degustazione di dolci tipici natalizi.
Questa singolare installazione luminosa è un’iniziativa unica nel Mezzogiorno e aiuta molto a valorizzare la torre di Satriano, un giacimento storico che con i continui ritrovamenti e con il recente museo multimediale rappresenta un importante punto di interesse turistico per la Regione e per la provincia di Potenza. I volontari dell’Anspi impiegano venti giornate lavorative per la progettazione e per l’allestimento e la cerimonia di accensione è un evento ormai consolidato della stagione culturale invernale lucana.
Rossella Marchese

Il silenzioso labirinto sotterraneo nel ventre di Napoli

29/10/2017

 
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Per essere una delle città più antiche di Europa, Napoli è anche una delle più affascinanti. La sua storia si snoda attraverso i millenni senza soluzione di continuità, insediamento abitato fin dal neolitico, ma fondata come vera e propria città, Parthenope, solo nell'VIII secolo a.C., dagli stessi Greci che già abitavano Cuma, la città madre dalla quale si affrancò presto.
Proprio il ventre di Napoli è testimonianza eccellente di questa stratificazione storica così tipica.
Sotto Napoli e la zona circostante, dal Vesuvio fino a Pozzuoli e Baia, si estende un'area geometrica caratterizzata da un'infinita rete di tunnel scavati da diverse mani e con diverse finalità. Furono i Greci, a partire dal 470 a.C., a dar vita alla formazione della città sotterranea, con i primitivi scavi per creare cisterne adibite alla raccolta delle acque piovane. Gli scavi creavano materiale di risulta per la costruzione in superficie di mura, templi, case d'abitazione e, sottoterra, di ipogei funerari; poco sotto la centralissima Piazza del Plebiscito c'era un piccolo vulcano spento di rocce gialle (il Monte Echia) utilizzato a lungo. Con l'arrivo dei Romani, poi, ebbe inizio l'imponente sviluppo dei reticoli sotterranei; vennero create gallerie (le grotte di Cocceio e di Seiano) e soprattutto la complessa rete di acquedotti che sfruttavano le acque provenienti dalle sorgenti del Serino, ad una settantina di chilometri dalla città.  Un acquedotto molto esteso, quello di Napoli; alcuni rami arrivavano sino a Miseno, in modo da alimentare la piscina mirabilis, riserva di acqua per la flotta navale romana. Ma ad incidere in maniera determinante sulla sorte del sottosuolo napoletano intervennero, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti che proibirono l'introduzione in città di materiali da costruzione, onde evitare l'espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati. Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l'uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, ancora  in funzione.
L'ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattarne le antiche strutture alle esigenze dei cittadini: furono allestiti 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso. L'allestimento dei ricoveri portò ad un ulteriore frazionamento dell'antico acquedotto.
Finita la guerra, furono le macerie a ricoprire il sottosuolo di Napoli; fino alla sua riqualificazione. Oggi, con escursioni che portano fin su ponti sospesi e fiumi, tutto sotto terra, si cerca di tramandare ai posteri  la storia di quei luoghi.
Rossella Marchese


(Foto: Alessandra Desideri)

Artemisia Gentileschi, la “pittora” che venne adottata da Napoli

30/9/2017

 
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È dire comune che dietro un grande uomo ci sia spesso una grande donna, ma dietro una grande donna chi c'è? Nel caso di Artemisia Gentileschi, pittrice, anzi “pittora”, come si diceva nel '600 ai suoi tempi, alle sue spalle non c'è proprio nessuno.
Con il famoso processo per lo stupro che la vide coinvolta quale vittima di Agostino Tassi, pittore anch'egli e amico del padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, fu lei a subire l'ingiuria più grande: messa sotto tortura dal giudice che la condannò allo schiacciamento dei pollici per indurre il Tassi a dire la verità, dovette portare sulle proprie spalle non solo l'onta di essere imputata nel processo che doveva vederla vittima, ma anche la vergogna della fuga di Agostino Tassi che, condannato, scappò da Roma e rifiutò il matrimonio riparatore poiché già legato ad un'altra donna. Così, pure Artemisia, ormai irrimediabilmente vituperata, lasciò Roma ed iniziò ad errare prima a Firenze, poi a Venezia, a Londra e a Napoli, dotata solo del suo grande talento.
Una vita vissuta al di sopra delle sue possibilità, amò il lusso ed i piaceri terreni, tanto da indebitarsi molto nonostante le commesse importanti che ricevette sia a Firenze che a Genova e a Venezia, e quando arrivò a Napoli, nel 1630, suo marito l'aveva già lasciata ed aveva perso tre dei suoi quattro figli. Ma questo non le impedì di diventare la più fulgida tra gli artisti del suo tempo.
Per Artemisia Napoli fu la città della rivelazione, con  tutto l'incredibile fermento culturale ed artistico di quella prima metà del XVII secolo; fu a Napoli, infatti, che la donna fece le giuste conoscenze che le permisero di arrivare prima all'imperatrice Maria d'Austria, per la quale lavorò assieme a Velàzquez e, successivamente, alla corte inglese di Carlo I che la volle ad ogni costo. Arrivarono anche le prime prestigiosissime committenze religiose, come il ciclo di dipinti per la cattedrale di Pozzuoli o la grande tela d'altare dell'Annunciazione, oggi conservata a Capodimonte; ma, soprattutto, a Napoli Artemisia fondò la propria bottega, che divenne il punto di riferimento del caravaggismo napoletano, lei che Caravaggio lo aveva conosciuto e visto all'opera di persona, a casa di suo padre, e da lui aveva imparato a dipingere il vero.
Artemisia Gentileschi è sempre stata considerata un personaggio molto particolare, già dai suoi contemporanei, incarnando un'idea di libertà e di indipendenza molto nuova nella storia dell'arte e di non sempre facile interpretazione. Pur essendo una figura controversa per le sue vicende personali, come artista fu impareggiabile. Laddove il Vasari considerava le donne pittrici brave solo nella ritrattistica, avendo una lunga consuetudine con lo specchio, Artemisia si distinse dalle sue contemporanee, Lavinia Fontana su tutte, poiché fu eccellentissima interprete della fortezza del corpo femminile; il pathos che figure quali Cleopatra, Susanna o Giuditta riescono ad esprimere è sempre stato la sua inconfondibile caratteristica: la tela e la vita che si fondono assieme senza riserve e senza limitazioni.
 Rossella Marchese
 

 

L’angolo di Rosario Ruggiero: Elogio francese di Napoli

10/6/2017

 
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Venerdì scorso, Jean-Nöel Schifano, scrittore e cittadino onorario di Napoli, ha parlato, nella monumentale cornice della basilica di San Giovanni Maggiore Pignatelli, del suo amore per la città del Vesuvio, sentimento che lo ha fatto, tra l’altro, autore del fortunato libro “Dictionnaire amoureux de Naples”, pubblicato nel 2007, in Francia, dalla casa editrice Plon, e a tutt’ora già giunto alla quarta edizione.
Alla serata sono intervenuti il presidente dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Napoli e della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli Luigi Vinci, l’assessore alla cultura ed al turismo del Comune di Napoli Nino Daniele e la giornalista della testata “ilmondodisuk” Donatella Galloni, alla quale si deve la mostra di arte contemporanea, curata da Italo Pignatelli, “SOS Partenope. 100 artisti per il libro della città”, encomiabilissima iniziativa legata all’evento, che con il ricavato della vendita delle opere in esposizione, frutto dell’entusiasta adesione di ben circa centocinquanta maestri, intende patrocinare la traduzione e divulgazione italiana dell’encomiastico libro francese. L’incontro è stato allietato dalle esibizioni del chitarrista Giuseppe Lattanzi, del soprano Cinzia Rizzone e del gruppo musicale “Soundart Capodimonte”.
In un’epoca che appare, ogni giorno di più, un po’ distratta verso certi valori dello spirito, certa cultura, talvolta dalle maggiori istituzioni ad essa preposta trascurata in maniera deludente, tenterà, allora, di sostenere se stessa.
Ci riesca o meno, resta un ammmirevole esempio e, soprattutto, una magnifica testimonianza della più alta e signorile civiltà napoletana, similmente all’eroico impegno, oramai lungo oltre dieci anni, del Borgo Sant’Eligio di organizzare regolari esposizioni di opere d’arte nelle vetrine dei suoi negozi e concorsi di pittura estemporanea nei suoi luoghi, per sensibilizzare (purtroppo, a tutt’oggi, inutilmente) le opportune istituzioni cittadine nei confronti di doverosa risoluzione di vergognosa invivibilità che angustia una delle aree più storicamente significative e, fino a non troppo tempo fa, più vivacemente commerciali della città.
La vera Napoli, la più profonda e maltrattata, dimostra così, con orgoglio e perentorietà, di essere assai meno oleografica e molto meno riducibile a pizza, mandolino, Pulcinella, calcio, canzonette e tarantella, di quanto tanta ignoranza e superficialità, fuori dalle sue mura, e purtroppo, importanti enti locali con certe loro discutibilissime iniziative di basso populismo, dimostrano di ritenere.

La storia di Rodolfo Siviero, un Momuments Man per Capodimonte

20/5/2017

 
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Un personaggio straordinario il signor Siviero, fiorentino d'adozione ma cittadino di mondo, che fu in vita una sorta di 007 dedito alla ricerca ed al recupero delle opere d'arte italiane, trafugate dai nazisti prima e durante la Seconda guerra Mondiale.
La sua vita avventurosa, venata di misteri e ambiguità, l'insofferenza alla burocrazia, le sferzanti critiche all'amministrazione pubblica e il carattere irto e tagliente non hanno certo alimentato nel tempo benevolenza nei suoi confronti. Spavaldo e insistente, già da ragazzo, il giovane Rodolfo tentò dapprima di sfondare come poeta. Poi, si convinse di essere tagliato per la carriera diplomatica e cercò per farsi assumere in Vaticano. Per raggiungere i suoi obiettivi, Siviero non ci pensò due volte ad iscriversi al Partito fascista, mettendosi  efficacemente alle costole di gerarchi come Pavolini, Ciano e Bottai e ottenendo la pubblicazione dei suoi componimenti, nonchè un bell'incarico governativo, non in Vaticano, ma in Germania. Venne spedito a Erfurt nel 1937, formalmente come borsista di storia dell'arte, in realtà come spia; è quasi certo che il giovane italiano militasse nelle file del SIM (Servizio Informazioni Militari) con l'incarico di raccogliere indiscrezioni sulle intenzioni dei tedeschi riguardo la sorte dell'Austria. 
Siviero rimase in Germania solo due anni, ma tanto gli bastò per aprire gli occhi, comprese che i tedeschi erano pericolosi, e in particolare li vide avventarsi come rapaci sui patrimoni d'arte privati sottratti ai primi ebrei perseguitati. Quando rientrò in Italia, si concentrò proprio su questo aspetto del carattere nazista e ne colse, tra i primi, la sua drammaticità. Hitler e Göering, infatti, collezionisti d'arte patologici, iniziarono ben presto l'assalto al patrimonio artistico italiano acquistando (con la tacita complicità del governo) opere d'arte vincolate, come il celebre Discobolo Lancellotti, ma dopo l'8 settembre 1943 uscirono allo scoperto, caricarono su lunghi convogli ferroviari le opere d'arte che ritenevano di dover preservare dalle insidie della guerra e le spedirono verso il Brennero. 
Fu qui che l'azione di Rodolfo Siviero si fece fondamentale. Aderendo al SID, il funzionario-spia utilizzò questa sua posizione per fare il doppio gioco, agendo per contrastare il più possibile i furti da parte del famigerato reparto Kunstschutz (reparto dell'arte). Segretamente in contatto con gli Alleati e con la Resistenza partigiana, Siviero ottenne da essa persino uomini e fondi per svolgere attività di presidio delle chiese, dei musei, delle collezioni private italiane e per pedinare i convogli tedeschi. 
Fu così che egli riuscì ad intercettare le SS che spedirono alcuni dei pezzi più importanti della collezione Farnese, conservata al Museo di Capodimente, a casa di Göering; la Madonna con Bambino di Raffaello in salotto e la Danae del Tiziano ad adornare il soffitto della camera da letto del gerarca.
Il delicato lavoro di Siviero per recuperare le opere trafugate ai musei napoletani (e non solo), durò diversi anni, mettendolo costantemente in pericolo di vita: seguiva i convogli tedeschi e avvisava  tempestivamente gli Alleati in modo che non bombardassero quei convogli stipati di opere d'arte italiane. E alla fine, nel 1947, riuscì ad ottenere la restituzione dei capolavori della collezione Farnese, e presentò il bilancio del suo personalissimo lavoro di “doppiogiochista”: 3000 opere d'arte recuperate e una impressionante mole di scritti che documentavano le razzie fin nel dettaglio e che furono la guida per le restituzioni che si susseguirono per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta.

Rossella Marchese

La verità sul grande artista in "Totalmente Totò"

12/4/2017

 
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La verità sul grande artista in 'Totalmente Totò' mentre al Rione Sanità due monumenti celebrano la sua memoria.
Dopo molti anni di studio e di ricerche su Totò, Alberto Anile firma una biografia artistica finalmente completa ed esaustiva dell’attore partenopeo. Pubblicata dalle Edizioni della Cineteca di Bologna a cinquant’anni dalla scomparsa dell’artista, avvenuta il 15 aprile 1967, intitolata “Totalmente Totò. Vita e opere di un comico assoluto”, ripercorre ed analizza per intero l’esistenza dell’uomo e insieme riconsidera tutta la sua infinita produzione, teatrale e cinematografica, dalle decine di riviste ai cento film, cercando di fare chiarezza e luce sui tanti equivoci che hanno accompagnato la sua narrazione. Hanno detto che l’artista improvvisasse a ripetizione. Che la sua comicità sarebbe incomprensibile all’estero. Che fu la sua indolenza a condannarlo. Che la colpa fu dei critici che lo sottovalutarono, o peggio, dei grandi maestri che non vollero dirigerlo. La verità è che Totò preparava attentamente e scrupolosamente il suo lavoro. Che ebbe un notevole successo anche nei teatri di Barcellona e Zurigo. Che a rovinarlo furono soprattutto la brama degli impresari e degli industriali.
Nella sua città Natale al Rione Sanità, nel cinquantenario dalla morte del “principe della risata” due monumenti alla sua memoria. Una moneta celebrativa coniata dalla Zecca dello Stato, poi una laurea honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo conferitagli dall’università Federico II di Napoli: sono solo due delle numerose iniziative intraprese a Napoli per commemorare Antonio de Curtis, in arte Totò, scomparso il 15 aprile di 50 anni fa. Come se non bastasse il Rione Sanità, il quartiere di Napoli che gli ha dato i natali, Totò nacque nel 1898 in via Santa Maria Antesaecula, ha deciso di dedicargli due monumenti commemorativi che saranno inaugurati uno il 15 aprile, giorno appunto della sua morte e l'altro il 29 aprile. L’iniziativa, partita dalla Onlus Fondazione San Gennaro, con la collaborazione di diversi partner, si pone l’obiettivo sì di celebrare il grande artista, ma rientra anche in un piano più ampio di riqualificazione del quartiere, tra i più belli della città, a cui saranno restituite anche due piazze. Si parte, il 15 aprile, con l’inaugurazione del Monolite dedicato al grande artista in Largo Vita, che potrebbe cambiare nome in Largo Totò, al quale l’opera ridarà nuova vita. Il 29 aprile, invece, in via Santa Maria Antesaecula sarà posizionato un busto in bronzo raffigurante Totò e sarà inaugurata la nuova facciata delle Basilica di San Severo, recentemente restaurata.
Nicola Massaro
 

Anita Pavone legge Valeria Francese

9/4/2017

 
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Anita Pavone è stata la protagonista il 9 aprile tra le pareti del locale Alter Ego, di via Costantinopoli, in pieno centro storico cittadino, de “L’Aperitivo Letterario”, iniziativa curata da “Freedomina”, associazione culturale partenopea di recente istituzione.
La brava, poliedrica attrice napoletana, nonché doppiatrice ed autrice di lavori teatrali, con studi anche di mimo, danza moderna, canto lirico e jazz, è stata infatti lettrice di pagine tratte da “Paura delle Altezze”, libro della scrittrice salernitana Valeria Francese, opera di prossima pubblicazione proprio per i tipi di Freedomina, in piena adesione con il precipuo obiettivo di questa attenta associazione, presieduta da Tiziana Giangrande, di promuovere e valorizzare il miglior operato femminile, specialmente se non ancora equamente riconosciuto.


L’angolo di Rosario Ruggiero:“Tiempe belle ’e na vota…”

25/3/2017

 
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“Tiempe belle ’e na vota, tiempe belle addó state” chiede, nostalgica, una celebre canzone classica napoletana; e se l’arte è la capacità di sviluppare in maniera soggettiva (perché l’opera  interessi con la sua novità) una realtà oggettivamente riconosciuta (perché sia facilmente compresa dal fruitore), il fascino sortito da quella composizione non può che confermare che il rimpianto di tempi andati è sempre stato presente nell’uomo di ogni epoca, dai lirici vagheggiamenti dell’Arcadia ai più ordinari ricordi individuali della giovinezza.
Ma è poi veramente così? Lo scorrere del tempo è un così penoso, inevitabile precipizio per l’umanità?
A guardare il progresso a tutt’oggi avvenuto, la possibilità di affrancamento da tante fatiche fisiche, l’allungamento medio della vita di ognuno di noi, l’avvenuta abolizione di certi privilegi e poteri che sarebbe certo ben più corretto chiamare soprusi istituzionalizzati, come la schiavitù, la tortura, l’autodafé o certa censura, e l’oggettivo miglioramento della possibilità di più felice vivibilità (a sapersela conquistare), si direbbe proprio di no.
E allora dov’è la soluzione dell’arcano? Di questa latente o ben manifesta insoddisfazione del presente?
Con ogni probabilità, o comunque buona incidenza, in un particolare spontaneo atteggiamento che permette alle società umane, consapevolmente o meno, di migliorarsi.
È l’atteggiamento per il quale siamo così inclini a raffigurare ai giovani, specialmente nei loro primi anni di vita, attraverso racconti, esempi, stili di vita, insomma per mezzo dell’educazione, un mondo ideale, fatto di valori come equità, giustizia, onestà, correttezza, sincerità, e chi più ne ha più ne metta. Il fanciullo finisce così con l’acquisire, soprattutto nei primi anni della sua esistenza, quelli riconosciuti come i più ricettivi e psicologicamente formativi, una visione della realtà idilliaca ed ideale, ma ideale secondo una desiderata idealità degli adulti, senza avvedersi che, intorno a lui, in fin dei conti, ben difficilmente troverà la giustizia, l’equità e tutto il resto, almeno per come gli sono state fatte intendere. Non le troverà certo nella preda impunemente sbranata dal predatore, in tante sperequazioni sociali, in tante disparità fisiche, in un mondo dove non giunge sempre un cacciatore a salvare Cappuccetto Rosso, un principe a invaghirsi di Biancaneve, tantomeno impalmare la Cenerentola di turno.
Il risultato di questa dicotomia è che il giovane, crescendo, incapperà, prima o poi, in una realtà più autentica, meno edulcorata, traumatizzante.
Ci saranno allora, sostanzialmente, due diverse possibili reazioni da parte sua.
Se avrà un’autostima opportunamente coltivata da successi riportati e da equa stima altrui, ritenendo il mondo cambiato negativamente, si prodigherà per il ripristino del rimpianto status quo. Vivrà da idealista, sacrificando se stesso per le sue idee e per la collettività. Sarà scienziato, artista, filosofo, missionario, martire o eroe, inclinerà a grandi imprese, sempre sostanziate da grande passione, e i suoi valori resteranno quelli primigeni.
Ma se la consapevolezza di sé sarà invece bassa, entrerà nel popoloso novero di un penoso gregge umano, di una massa inerziale sociale acquiescente, facile preda di mode, manipolazione e valori epocali, qualunque essi siano. Sarà uomo qualunque, senza particolari virtù, un individuo ordinario che vive di piccole, inutili cose, piaceri vacui, lasciando poi ben piccola traccia sociale del suo passaggio su questa terra, il cittadino irreggimentato, il ladro di polli, il piccolo truffatore, il parassita sociale invidioso e represso, tenacemente attaccato alla vita, che non saprà vivere con vera passione, ma con misera passività, secondo mode e valori altrui.
E giacché è noto che la natura impone il sacrificio del singolo per la tutela della specie, il martirio, non di rado lungo un’intera vita, di ogni nobile idealista, servirà allora ad elevare, seppur lievemente, il resto dell’umanità, ma sempre, ognuno, malinconicamente rimpiangendo felici tempi andati.  


L’angolo di Rosario Ruggiero

23/2/2017

 
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Quando le trasformazioni dell’uomo e della società viaggiano a velocità diverse
Che gli esseri viventi siano soggetti, nel corso di lunghi secoli e millenni, a trasformazioni anche ben vistose, è un asserto che ci viene insegnato dall’evoluzionismo.
Che le società umane, nel tempo, subiscano cambiamenti è, invece, sotto gli occhi di tutti, basta pensare a quanti, in età adulta, non riescono a capire i giovani, identicamente a come, essi, giovani, non erano capiti dagli adulti di allora.
Quello che è certo è che però le velocità di evoluzione, biologica e sociale, sono decisamente diverse, sicché tutt’oggi, ad esempio, si può vedere persistere comportamenti atavici (quando non anche trogloditici) inutili nel contesto sociale attivo, quando non addirittura deleteri.
Creato il linguaggio verbale, si continua a discutere “con le mani”; istituito un sistema di leggi, lo si continua ad ignorare; predicata l’uguaglianza giuridica e la parità di dignità dei cittadini, persiste la cultura del clan.
E fu un episodio pure abbastanza comune quello che mi vide protagonista, qualche tempo fa, in fila davanti allo sportello di un ufficio postale, dall’altra parte del quale un impiegato particolarmente isterico ed arrabbiato svolgeva il suo lavoro trattando indistintamente con malagrazia ogni utente di turno. Un impiegato nel quale ravvisai subito l’antico compagno di giochi di un mio annoso amico. Fu così che, quando arrivò il mio turno, mi bastò ricordargli quell’amicizia comune per vederlo, immantinente, rabbonirsi, addolcirsi, ingentilirsi e disbrigare la mia pratica con pazienza, disponibilità ed una cortesia che direi quasi… commovente, salvo ritornare più infuriato (se possibile!) di prima con quanti nella fila si successero, poi, al mio andar via tra i suoi più cordiali saluti.
Non era mio parente; non mi conosceva minimamente; non mi aveva mai visto prima; né, con ogni probabilità, mi vedrà più. E ne era certo consapevole! Ma bastò dimostrargli di essere legato, in qualche modo, ad un membro della sua cerchia di frequentazioni, seppur lungamente passate, per godere dell’annichilimento di ogni sua ostilità.
O, irriducibili preistoriche usanze tribali!   


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