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Comicon 2018, il ventennale della manifestazione napoletana nelle mani di Lorenzo Mattotti

31/3/2018

 
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Il Salone Internazionale del Fumetto di Napoli compie vent’anni e festeggia  questo traguardo con Lorenzo Mattotti, che sarà Magister dell’edizione 2018.
Era il 1998 quando nelle sale di Castel Sant’Elmo si inaugurava la prima edizione del Comicon con la mostra antologica Acrobazie, dedicata proprio a Lorenzo Mattotti, primo ospite ufficiale della manifestazione napoletana.
Così si chiude un cerchio; nel 2018 il maestro del Fumetto e dell’Illustrazione Lorenzo Mattotti sarà protagonista della mostra Seguendo le tracce, che si terrà a Napoli, al Museo Pignatelli, dal 6 aprile al 27 maggio.
Con Seguendo le tracce, l’autore e Comicon si legano a un filo comune fatto di storie, immagini e passione per il mondo del fumetto e dell’illustrazione.
I temi della mostra di Mattotti sono autobiografici: partono dalla professione, vanno verso la ricerca e approdano alla visione. Così come le opere esposte parlano di vari passaggi, dalla luce all’ombra, dal reale all’immaginario. Tra le tavole esposte, l’opera completa di Caboto (1992, edizione italiana Hazard, 1997) un fumetto storico dipinto sulla figura di un cosmografo;  Oltremai, un poema muto, disegnato con il nero della china; ed ancora, Alla segreta fonte, del 2016, e Vietnam, del 2015, entrambi con paesaggi visionari frutto di immagini care all’autore r familiari a chi le guarda.
In occasione della mostra inoltre, verrà presentato al pubblico un portfolio edito da Comicon Edizioni con una selezione di immagini dell’artista bresciano.
Oltre a Mattotti, il Comicon 2018 si fregerà anche della presenza di artisti di prim'ordine del calibro di Art Spiegelman, condirettore della rivista di fumetti e grafica Raw e Premio Pulitzer con il capolavoro indiscusso Maus; José Muñoz, maestro del bianco e nero di tradizione ispano-americana, nel solco di autori del calibro di Alberto Breccia e Hugo Pratt; Vittorio Giardino, con 40 anni circa di carriera e tradotto in tutto il mondo, battezzato il maestro della “linea chiara”, che al Comicon presenterà l’ultimo capitolo della sua opera principale Jonas Fink.
Rossella Marchese

Il Carnevale napoletano: opulento, seducente e intrigante come le sue maschere

27/2/2018

 
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Le radici certamente antichissime del Carnevale, forse risalgono addirittura all'epoca romana, in concomitanza con i saturnali, un ciclo di festività in cui ci si lasciava andare ai piaceri del cibo e del corpo. Durante tutto il periodo dei saturnali veniva messo in atto un sovvertimento delle gerarchie e degli ordini sociali che portava allo scambio di ruoli e al camuffamento della propria identità. Perciò l’uso delle maschere, a celebrare un momento in cui era lecito rompere gli schemi e lasciarsi andare alla dissolutezza.
A Napoli, Sant’Antuono (Sant’Antonio Abate, 17 gennaio) segnava l’ingresso del Carnevale e in questa occasione si dava fuoco a cataste di roba vecchia. Così iniziava il periodo sovversivo e godereccio, che sarebbe durato fino all'ingresso della Quaresima; il Carnevale napoletano, infatti, più che in altre parti del nostro Paese, ha mantenuto nei secoli i suoi tratti ancestrali di rivoluzione scherzosa e grottesca, persino pericolosa.
A partire dal 1500, in città si scatenava una vera e propria lotta tra fazioni: nobiltà contro popolani, che si sfidavano a colpi di feste, mascherate e buffonate. Oppure, la memoria folkloristica rimanda al periodo d'oro del Carnevale partenopeo, gli anni dei Borbone, quando i carri della cuccagna sfilavano per le vie cittadine carichi di ogni sorta di vivande, e siccome l'assalto e la razzia dei carri provocava ogni volta gravissimi incidenti tra la popolazione, Carlo di Borbone stabilì che i carri–cuccagna, invece di attraversare le strade cittadine, dovevano essere allestiti nel largo di Palazzo e guardati a vista da truppe armate fino all’inizio dei festeggiamenti. Quei carri, durante i secoli XVII e XVIII, furono sostituiti dall’Albero della Cuccagna o “palo di sapone”, detto così perché reso scivoloso in modo da rendere più difficile l’arrampicata dei concorrenti per arrivare alle vivande poste in cima. In tutto questo caos di abbondanza, le maschere erano d'obbligo, ma tutte legate al popolo; tra le più accreditate, oltre al celebre Pulcinella, simbolo del Carnevale partenopeo e della sua cultura, le altre “mezze maschere”, o meta-maschere (perché allegoriche) più apprezzate, furono la Zeza, moglie di Pulcinella, Don Nicola, l'avvocato imbranato e Giangurgolo, quest'ultimo apparso già nel 1618 come personaggio della Commedia dell’Arte, che si distingue per il suo gusto delle oscenità, la sua maschera rossa che fa il verso a quella di Pulcinella e le vesti da capitano spagnolo. Il suo nome è un chiaro rimando alla voracità e alla fame da donnaiolo ed è una tipica maschera d'invenzione napoletana.
Per quanto riguarda la Vecchia del Carnevale, una vecchia dal viso grinzoso e deforme, ma da un corpo giovane e prosperoso, dotata di una gobba sulla schiena sulla quale porta Pulcinella, intento a ballare e a suonare le nacchere, è certamente la più famosa tra le meta-maschere partenopee, alla quale sono stati attribuiti numerosi significati allegorici, ma tutti che rimandano al rito del passaggio: la parte deforme ed invecchiata del corpo rappresenta il tempo passato negativamente, l’inverno e la natura appassita, mentre la parte giovanile e florida simboleggia la primavera, l’arrivo del nuovo anno ricco e fecondo.
Rossella Marchese

Che cos'è la Notte Nazionale del Liceo Classico

20/1/2018

 
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La Notte Nazionale del Liceo Classico è una manifestazione nata 4 anni fa dall'idea di un docente di latino e greco, Rocco Schembra, presso il Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale (CT).
A questo viaggio verso le radici della nostra storia e della nostra civiltà, quest'anno aderiscono oltre 400 licei in tutta Italia; una crescita di partecipazione esponenziale se si tiene conto che nel 2014 a partecipare erano circa un'ottantina di Licei, su tutto il territorio nazionale.
L'iniziativa, sostenuta dalla Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del Miur, anche alla luce del recente Decreto legislativo 60/2017, è animata da maratone di lettura, recitazioni teatrali, concerti, danze, dibattiti, presentazioni di libri, incontri con gli autori, cortometraggi, cineforum, mostre e degustazioni.
Quest'anno l'iniziativa si è tenuta lo scorso 12 gennaio, un venerdì sui generis per la scuola italiana, ed anche per quest'anno è stata un'occasione per mostrare l'identità del Liceo Classico attraverso i suoi studenti, nonché l'importanza ancora viva ed attuale che le materie umanistiche  hanno per il nostro patrimonio culturale e comunitario.
Dalle 18 alle 24 le aule ed i corridoi di 407 Licei Classici italiani si sono popolate di figure mitiche e storiche, dei grandi pensatori dei nostri tempi e di quelli passati: ciascun istituto ha personalizzato le proprie iniziative grazie al protagonismo degli alunni che hanno fatto scuola in modo alternativo.
Per la Campania, ad esempio, solo per citare alcuni appuntamenti: a Napoli, i ragazzi del Liceo Calamandrei hanno messo in scena Plauto ed Euripide accompagnati dal coro della scuola; mentre il Liceo Vittorio Emanuele II ha ospitato gli artisti di Mad Entertrainment, autori del capolavoro di animazione napoletano Gatta Cenerentola. Serata in musica per il Liceo Quercia di Marcianise e lo spettacolo “Le Baccanti tra Euripide e i R.E.M.”, rivisitazione in chiave rock della tragedia di Euripide. Al Tasso di Salerno si è puntato, invece, su una formula variegata con incontri ogni venti minuti che hanno trasformano le aule del Real Liceo di piazza San Francesco in un’agorà dei saperi; viaggio nei ricordi per il liceo Giannone di Benevento.
 Rossella Marchese


In Basilicata l'Albero più grande del Sud Italia

31/12/2017

 
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Giovedì 8 dicembre, per il 14mo anno consecutivo, è stato illuminato a Tito, nella provincia di Potenza, l'Albero di Natale più grande dell'intero Sud Italia.
Si appoggia dolcemente sul crinale di un monticello, ai piedi di una torre medievale e ben visibile dal raccordo autostradale Sicignano-Potenza e da buona parte del territorio del Marmo Platano Melandro, questa istallazione di luci vanta dei numeri estremamente significativi: 290 metri di altezza, 8000 luci, 256 pali a sostegno su un perimetro di 1720 metri.
L’attivazione è avvenuta a distanza con un telecomando, dalla terrazza del Centro per la Creatività Cecilia, a Tito, dove in tanti si sono radunati per assistere alla cerimonia.
Si tratta di un’iniziativa unica nel sud Italia, che ogni anni vede l’impegno di numerosi volontari dell'Associazione Anspi Carità alle prese con la preparazione di ogni dettaglio. L’albero s’illumina ai piedi della Torre ogni giorno, dalle ore 17 alle ore 5 del mattino, fino al 6 gennaio.
L’iniziativa è patrocinata dal Comune.
Sull’albero anche quest’anno brillerà la stella della solidarietà, sia con le luci ma anche con attività concrete. Infatti tutti i contributi che verranno raccolti dall’Anspi verranno devoluti in beneficenza al comitato provinciale dell’Unicef.
E come ogni anno, da 14 anni, nella serata dell'attivazione dell'Albero, lo spettacolo di un attore di successo, questa volta Dario Vergassola, che ha portato in scena il suo show “sparla con me”, un recital che presenta i momenti più esilaranti dei tanti incontri del comico nel salotto di Serena Dandini, mentre ripercorre a ritroso la strada segnata dal calore degli amici del bar, la non semplice relazione familiare con l’impertinente suocera, la movida davanti all’unico bancomat di La Spezia e i suoi ricordi di bambino. È stato lo stesso Vergassola, poi, a premere il pulsante di accensione per dare il via alla festa, accompagnata dai tradizionali fuochi pirotecnici e dalla degustazione di dolci tipici natalizi.
Questa singolare installazione luminosa è un’iniziativa unica nel Mezzogiorno e aiuta molto a valorizzare la torre di Satriano, un giacimento storico che con i continui ritrovamenti e con il recente museo multimediale rappresenta un importante punto di interesse turistico per la Regione e per la provincia di Potenza. I volontari dell’Anspi impiegano venti giornate lavorative per la progettazione e per l’allestimento e la cerimonia di accensione è un evento ormai consolidato della stagione culturale invernale lucana.
Rossella Marchese

Il silenzioso labirinto sotterraneo nel ventre di Napoli

29/10/2017

 
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Per essere una delle città più antiche di Europa, Napoli è anche una delle più affascinanti. La sua storia si snoda attraverso i millenni senza soluzione di continuità, insediamento abitato fin dal neolitico, ma fondata come vera e propria città, Parthenope, solo nell'VIII secolo a.C., dagli stessi Greci che già abitavano Cuma, la città madre dalla quale si affrancò presto.
Proprio il ventre di Napoli è testimonianza eccellente di questa stratificazione storica così tipica.
Sotto Napoli e la zona circostante, dal Vesuvio fino a Pozzuoli e Baia, si estende un'area geometrica caratterizzata da un'infinita rete di tunnel scavati da diverse mani e con diverse finalità. Furono i Greci, a partire dal 470 a.C., a dar vita alla formazione della città sotterranea, con i primitivi scavi per creare cisterne adibite alla raccolta delle acque piovane. Gli scavi creavano materiale di risulta per la costruzione in superficie di mura, templi, case d'abitazione e, sottoterra, di ipogei funerari; poco sotto la centralissima Piazza del Plebiscito c'era un piccolo vulcano spento di rocce gialle (il Monte Echia) utilizzato a lungo. Con l'arrivo dei Romani, poi, ebbe inizio l'imponente sviluppo dei reticoli sotterranei; vennero create gallerie (le grotte di Cocceio e di Seiano) e soprattutto la complessa rete di acquedotti che sfruttavano le acque provenienti dalle sorgenti del Serino, ad una settantina di chilometri dalla città.  Un acquedotto molto esteso, quello di Napoli; alcuni rami arrivavano sino a Miseno, in modo da alimentare la piscina mirabilis, riserva di acqua per la flotta navale romana. Ma ad incidere in maniera determinante sulla sorte del sottosuolo napoletano intervennero, fra il 1588 ed il 1615, alcuni editti che proibirono l'introduzione in città di materiali da costruzione, onde evitare l'espansione incontrollata di Napoli. I cittadini, per evitare sanzioni e soddisfare la necessità di ampliamento urbanistico, pensarono bene di estrarre il tufo sottostante la città, sfruttando i pozzi già esistenti, ampliando le cisterne destinate a contenere l'acqua potabile e ricavandone di nuove. Questo tipo di estrazione, che avveniva dall'alto verso il basso, richiedeva tecniche particolari al fine di garantire la stabilità del sottosuolo ed evitare crolli indesiderati. Solo nel 1885, dopo una tremenda epidemia di colera, venne abbandonato l'uso del vecchio sistema di distribuzione idrica per adottare il nuovo acquedotto, ancora  in funzione.
L'ultimo intervento sul sottosuolo risale alla seconda guerra mondiale, quando per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattarne le antiche strutture alle esigenze dei cittadini: furono allestiti 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Un elenco ufficiale del Ministero degli Interni del 1939 annoverava 616 indirizzi che portavano nei ricoveri suddetti, alcuni dei quali con più di un accesso. L'allestimento dei ricoveri portò ad un ulteriore frazionamento dell'antico acquedotto.
Finita la guerra, furono le macerie a ricoprire il sottosuolo di Napoli; fino alla sua riqualificazione. Oggi, con escursioni che portano fin su ponti sospesi e fiumi, tutto sotto terra, si cerca di tramandare ai posteri  la storia di quei luoghi.
Rossella Marchese


(Foto: Alessandra Desideri)

Artemisia Gentileschi, la “pittora” che venne adottata da Napoli

30/9/2017

 
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È dire comune che dietro un grande uomo ci sia spesso una grande donna, ma dietro una grande donna chi c'è? Nel caso di Artemisia Gentileschi, pittrice, anzi “pittora”, come si diceva nel '600 ai suoi tempi, alle sue spalle non c'è proprio nessuno.
Con il famoso processo per lo stupro che la vide coinvolta quale vittima di Agostino Tassi, pittore anch'egli e amico del padre di Artemisia, Orazio Gentileschi, fu lei a subire l'ingiuria più grande: messa sotto tortura dal giudice che la condannò allo schiacciamento dei pollici per indurre il Tassi a dire la verità, dovette portare sulle proprie spalle non solo l'onta di essere imputata nel processo che doveva vederla vittima, ma anche la vergogna della fuga di Agostino Tassi che, condannato, scappò da Roma e rifiutò il matrimonio riparatore poiché già legato ad un'altra donna. Così, pure Artemisia, ormai irrimediabilmente vituperata, lasciò Roma ed iniziò ad errare prima a Firenze, poi a Venezia, a Londra e a Napoli, dotata solo del suo grande talento.
Una vita vissuta al di sopra delle sue possibilità, amò il lusso ed i piaceri terreni, tanto da indebitarsi molto nonostante le commesse importanti che ricevette sia a Firenze che a Genova e a Venezia, e quando arrivò a Napoli, nel 1630, suo marito l'aveva già lasciata ed aveva perso tre dei suoi quattro figli. Ma questo non le impedì di diventare la più fulgida tra gli artisti del suo tempo.
Per Artemisia Napoli fu la città della rivelazione, con  tutto l'incredibile fermento culturale ed artistico di quella prima metà del XVII secolo; fu a Napoli, infatti, che la donna fece le giuste conoscenze che le permisero di arrivare prima all'imperatrice Maria d'Austria, per la quale lavorò assieme a Velàzquez e, successivamente, alla corte inglese di Carlo I che la volle ad ogni costo. Arrivarono anche le prime prestigiosissime committenze religiose, come il ciclo di dipinti per la cattedrale di Pozzuoli o la grande tela d'altare dell'Annunciazione, oggi conservata a Capodimonte; ma, soprattutto, a Napoli Artemisia fondò la propria bottega, che divenne il punto di riferimento del caravaggismo napoletano, lei che Caravaggio lo aveva conosciuto e visto all'opera di persona, a casa di suo padre, e da lui aveva imparato a dipingere il vero.
Artemisia Gentileschi è sempre stata considerata un personaggio molto particolare, già dai suoi contemporanei, incarnando un'idea di libertà e di indipendenza molto nuova nella storia dell'arte e di non sempre facile interpretazione. Pur essendo una figura controversa per le sue vicende personali, come artista fu impareggiabile. Laddove il Vasari considerava le donne pittrici brave solo nella ritrattistica, avendo una lunga consuetudine con lo specchio, Artemisia si distinse dalle sue contemporanee, Lavinia Fontana su tutte, poiché fu eccellentissima interprete della fortezza del corpo femminile; il pathos che figure quali Cleopatra, Susanna o Giuditta riescono ad esprimere è sempre stato la sua inconfondibile caratteristica: la tela e la vita che si fondono assieme senza riserve e senza limitazioni.
 Rossella Marchese
 

 

L’angolo di Rosario Ruggiero: Elogio francese di Napoli

10/6/2017

 
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Venerdì scorso, Jean-Nöel Schifano, scrittore e cittadino onorario di Napoli, ha parlato, nella monumentale cornice della basilica di San Giovanni Maggiore Pignatelli, del suo amore per la città del Vesuvio, sentimento che lo ha fatto, tra l’altro, autore del fortunato libro “Dictionnaire amoureux de Naples”, pubblicato nel 2007, in Francia, dalla casa editrice Plon, e a tutt’ora già giunto alla quarta edizione.
Alla serata sono intervenuti il presidente dell’Ordine Ingegneri della Provincia di Napoli e della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli Luigi Vinci, l’assessore alla cultura ed al turismo del Comune di Napoli Nino Daniele e la giornalista della testata “ilmondodisuk” Donatella Galloni, alla quale si deve la mostra di arte contemporanea, curata da Italo Pignatelli, “SOS Partenope. 100 artisti per il libro della città”, encomiabilissima iniziativa legata all’evento, che con il ricavato della vendita delle opere in esposizione, frutto dell’entusiasta adesione di ben circa centocinquanta maestri, intende patrocinare la traduzione e divulgazione italiana dell’encomiastico libro francese. L’incontro è stato allietato dalle esibizioni del chitarrista Giuseppe Lattanzi, del soprano Cinzia Rizzone e del gruppo musicale “Soundart Capodimonte”.
In un’epoca che appare, ogni giorno di più, un po’ distratta verso certi valori dello spirito, certa cultura, talvolta dalle maggiori istituzioni ad essa preposta trascurata in maniera deludente, tenterà, allora, di sostenere se stessa.
Ci riesca o meno, resta un ammmirevole esempio e, soprattutto, una magnifica testimonianza della più alta e signorile civiltà napoletana, similmente all’eroico impegno, oramai lungo oltre dieci anni, del Borgo Sant’Eligio di organizzare regolari esposizioni di opere d’arte nelle vetrine dei suoi negozi e concorsi di pittura estemporanea nei suoi luoghi, per sensibilizzare (purtroppo, a tutt’oggi, inutilmente) le opportune istituzioni cittadine nei confronti di doverosa risoluzione di vergognosa invivibilità che angustia una delle aree più storicamente significative e, fino a non troppo tempo fa, più vivacemente commerciali della città.
La vera Napoli, la più profonda e maltrattata, dimostra così, con orgoglio e perentorietà, di essere assai meno oleografica e molto meno riducibile a pizza, mandolino, Pulcinella, calcio, canzonette e tarantella, di quanto tanta ignoranza e superficialità, fuori dalle sue mura, e purtroppo, importanti enti locali con certe loro discutibilissime iniziative di basso populismo, dimostrano di ritenere.

La storia di Rodolfo Siviero, un Momuments Man per Capodimonte

20/5/2017

 
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Un personaggio straordinario il signor Siviero, fiorentino d'adozione ma cittadino di mondo, che fu in vita una sorta di 007 dedito alla ricerca ed al recupero delle opere d'arte italiane, trafugate dai nazisti prima e durante la Seconda guerra Mondiale.
La sua vita avventurosa, venata di misteri e ambiguità, l'insofferenza alla burocrazia, le sferzanti critiche all'amministrazione pubblica e il carattere irto e tagliente non hanno certo alimentato nel tempo benevolenza nei suoi confronti. Spavaldo e insistente, già da ragazzo, il giovane Rodolfo tentò dapprima di sfondare come poeta. Poi, si convinse di essere tagliato per la carriera diplomatica e cercò per farsi assumere in Vaticano. Per raggiungere i suoi obiettivi, Siviero non ci pensò due volte ad iscriversi al Partito fascista, mettendosi  efficacemente alle costole di gerarchi come Pavolini, Ciano e Bottai e ottenendo la pubblicazione dei suoi componimenti, nonchè un bell'incarico governativo, non in Vaticano, ma in Germania. Venne spedito a Erfurt nel 1937, formalmente come borsista di storia dell'arte, in realtà come spia; è quasi certo che il giovane italiano militasse nelle file del SIM (Servizio Informazioni Militari) con l'incarico di raccogliere indiscrezioni sulle intenzioni dei tedeschi riguardo la sorte dell'Austria. 
Siviero rimase in Germania solo due anni, ma tanto gli bastò per aprire gli occhi, comprese che i tedeschi erano pericolosi, e in particolare li vide avventarsi come rapaci sui patrimoni d'arte privati sottratti ai primi ebrei perseguitati. Quando rientrò in Italia, si concentrò proprio su questo aspetto del carattere nazista e ne colse, tra i primi, la sua drammaticità. Hitler e Göering, infatti, collezionisti d'arte patologici, iniziarono ben presto l'assalto al patrimonio artistico italiano acquistando (con la tacita complicità del governo) opere d'arte vincolate, come il celebre Discobolo Lancellotti, ma dopo l'8 settembre 1943 uscirono allo scoperto, caricarono su lunghi convogli ferroviari le opere d'arte che ritenevano di dover preservare dalle insidie della guerra e le spedirono verso il Brennero. 
Fu qui che l'azione di Rodolfo Siviero si fece fondamentale. Aderendo al SID, il funzionario-spia utilizzò questa sua posizione per fare il doppio gioco, agendo per contrastare il più possibile i furti da parte del famigerato reparto Kunstschutz (reparto dell'arte). Segretamente in contatto con gli Alleati e con la Resistenza partigiana, Siviero ottenne da essa persino uomini e fondi per svolgere attività di presidio delle chiese, dei musei, delle collezioni private italiane e per pedinare i convogli tedeschi. 
Fu così che egli riuscì ad intercettare le SS che spedirono alcuni dei pezzi più importanti della collezione Farnese, conservata al Museo di Capodimente, a casa di Göering; la Madonna con Bambino di Raffaello in salotto e la Danae del Tiziano ad adornare il soffitto della camera da letto del gerarca.
Il delicato lavoro di Siviero per recuperare le opere trafugate ai musei napoletani (e non solo), durò diversi anni, mettendolo costantemente in pericolo di vita: seguiva i convogli tedeschi e avvisava  tempestivamente gli Alleati in modo che non bombardassero quei convogli stipati di opere d'arte italiane. E alla fine, nel 1947, riuscì ad ottenere la restituzione dei capolavori della collezione Farnese, e presentò il bilancio del suo personalissimo lavoro di “doppiogiochista”: 3000 opere d'arte recuperate e una impressionante mole di scritti che documentavano le razzie fin nel dettaglio e che furono la guida per le restituzioni che si susseguirono per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta.

Rossella Marchese

La verità sul grande artista in "Totalmente Totò"

12/4/2017

 
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La verità sul grande artista in 'Totalmente Totò' mentre al Rione Sanità due monumenti celebrano la sua memoria.
Dopo molti anni di studio e di ricerche su Totò, Alberto Anile firma una biografia artistica finalmente completa ed esaustiva dell’attore partenopeo. Pubblicata dalle Edizioni della Cineteca di Bologna a cinquant’anni dalla scomparsa dell’artista, avvenuta il 15 aprile 1967, intitolata “Totalmente Totò. Vita e opere di un comico assoluto”, ripercorre ed analizza per intero l’esistenza dell’uomo e insieme riconsidera tutta la sua infinita produzione, teatrale e cinematografica, dalle decine di riviste ai cento film, cercando di fare chiarezza e luce sui tanti equivoci che hanno accompagnato la sua narrazione. Hanno detto che l’artista improvvisasse a ripetizione. Che la sua comicità sarebbe incomprensibile all’estero. Che fu la sua indolenza a condannarlo. Che la colpa fu dei critici che lo sottovalutarono, o peggio, dei grandi maestri che non vollero dirigerlo. La verità è che Totò preparava attentamente e scrupolosamente il suo lavoro. Che ebbe un notevole successo anche nei teatri di Barcellona e Zurigo. Che a rovinarlo furono soprattutto la brama degli impresari e degli industriali.
Nella sua città Natale al Rione Sanità, nel cinquantenario dalla morte del “principe della risata” due monumenti alla sua memoria. Una moneta celebrativa coniata dalla Zecca dello Stato, poi una laurea honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo conferitagli dall’università Federico II di Napoli: sono solo due delle numerose iniziative intraprese a Napoli per commemorare Antonio de Curtis, in arte Totò, scomparso il 15 aprile di 50 anni fa. Come se non bastasse il Rione Sanità, il quartiere di Napoli che gli ha dato i natali, Totò nacque nel 1898 in via Santa Maria Antesaecula, ha deciso di dedicargli due monumenti commemorativi che saranno inaugurati uno il 15 aprile, giorno appunto della sua morte e l'altro il 29 aprile. L’iniziativa, partita dalla Onlus Fondazione San Gennaro, con la collaborazione di diversi partner, si pone l’obiettivo sì di celebrare il grande artista, ma rientra anche in un piano più ampio di riqualificazione del quartiere, tra i più belli della città, a cui saranno restituite anche due piazze. Si parte, il 15 aprile, con l’inaugurazione del Monolite dedicato al grande artista in Largo Vita, che potrebbe cambiare nome in Largo Totò, al quale l’opera ridarà nuova vita. Il 29 aprile, invece, in via Santa Maria Antesaecula sarà posizionato un busto in bronzo raffigurante Totò e sarà inaugurata la nuova facciata delle Basilica di San Severo, recentemente restaurata.
Nicola Massaro
 

Anita Pavone legge Valeria Francese

9/4/2017

 
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Anita Pavone è stata la protagonista il 9 aprile tra le pareti del locale Alter Ego, di via Costantinopoli, in pieno centro storico cittadino, de “L’Aperitivo Letterario”, iniziativa curata da “Freedomina”, associazione culturale partenopea di recente istituzione.
La brava, poliedrica attrice napoletana, nonché doppiatrice ed autrice di lavori teatrali, con studi anche di mimo, danza moderna, canto lirico e jazz, è stata infatti lettrice di pagine tratte da “Paura delle Altezze”, libro della scrittrice salernitana Valeria Francese, opera di prossima pubblicazione proprio per i tipi di Freedomina, in piena adesione con il precipuo obiettivo di questa attenta associazione, presieduta da Tiziana Giangrande, di promuovere e valorizzare il miglior operato femminile, specialmente se non ancora equamente riconosciuto.


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