
Ci sono cose che possono prendere anche connotazioni particolari in opportuni contesti geografici o epocali, come le mostre d’arte, le quali, in questo attuale momento storico, vanno assumendo sempre più pure uno specifico valore di denuncia. Denuncia di una epoca e di una società dove imperano le leggi del mercato ed il culto dell’immagine, sicché l’uomo, che è animale suggestionabile, viene facilmente indirizzato verso specifici valori, giudizi e consequenziali acquisti.
Metro assoluto di tutto è il valore economico, ed una persona, un bene materiale, un’opera d’arte, è ritenuta importante esclusivamente in base al prezzo attribuito dal mercato. Questo, e solo questo, decreta bontà, popolarità, prestigio.
È un’osservazione, d’altronde, per nulla nuova, che trova autorevole precedente in un’intervista rilasciata ben oltre mezzo secolo fa da Pablo Picasso (“Omaggio alla verità di Pablo Picasso”, Giornale di Sicilia n. 165 del 12/7/1952) nella quale, il grande maestro spagnolo, confessava di non ritenersi un artista nel senso più elevato del termine, come invece reputava essere stati Giotto, Tiziano, Rembrandt ed altri, giacché, da un certo momento in poi della sua carriera, aveva scoperto gli acquirenti particolarmente interessati alle stravaganze, e più, allora, produceva bizzarrie, più il pubblico acquistava pagando profumatamente, la qual cosa per un artista equivale a successo, ricchezza, popolarità, eppure, al tempo stesso, all’insostenibile amarezza privata della consapevolezza di una riprovevole etica. Ma il mondo va anche così!
Dal 2 giugno scorso e fino a domenica prossima, tutti i giorni, dalle 17 alle 21, ad ingresso libero, a ribadire in qualche misura questa amara denuncia epocale, a Salerno, in pieno centro storico, nella caratteristica cornice dell’Arco Catalano di Palazzo Pinto, inaugurata da un discorso di apertura del funzionario responsabile servizi musei e biblioteche della provincia di Salerno Silvia Pacifico, l’esposizione VariArt. Quattro artiste, Donatella Blundo, Adriana Ferri, Anna Rago e la giovanissima Enrica Maria Aiello, per opere, tecniche e tematiche diverse, dalla primaria finalità decorativa dei vasi, del pannello e della statua (nella foto, in basso a destra) di Enrica Maria Aiello ai gioielli in ceramica per ornamento del corpo o di eleganti borse di Anna Rago (nella foto, in basso a sinistra), dai dipinti di Adriana Ferri di precipuo impegno civile come “Nel mirino”, “Don Chisciotte”, “Libertas”, “Colletti bianchi”, Mani-polis”(nella foto, in alto a destra), “Attraversa-menti”, “Libero pensiero” ed altri, alle particolarissime riproduzioni di Donatella Blundo la quale, già apprezzatissima artefice di figure da presepe, ha pensato stavolta di piegare questa sua tecnica espressiva alla sensibilizzazione verso atroci, pur diffuse realtà realizzando accurati e suggestivi lavori a documentare malattie ancora incurabili ed altre piaghe sociali, e allora “Coraggio senza ostacoli (handicap)”, “Fragile forza (cancro)”, “Fiore calpestato (sposa bambina)”, “Anima sgualcita (violenza sulle donne)”, “Amore protetto (controllo delle nascite)”, “Matura giovinezza (lavoro minorile)”, “Nuovi lidi (i profughi)”, “Ricordi tenuti al laccio (Alzheimer) (nella foto, in alto a destra)” e più.
Molti i lavori di pregio, molti i visitatori a tutt’oggi affluiti.
Ed è una denuncia, quella che viene fuori da questa gradevole esposizione, tanto più incisiva quanto minore è la distanza artistica che si rileverà tra le opere esibite e certi lavori odierni ben più celebrati e che hanno forse più sapore di provocazione (a volte anche gratuita) che di squisita ricerca estetica, o quanto, addirittura, maggiormente si preferiranno le prime.
Una denuncia importante quanto l’arte, quella di mostre come questa, che si può sintetizzare nella domanda: «Perché, oggi, nel mondo delle muse, e forse non solo in quello, pochissimi a guadagnare anche straordinariamente con le loro creazioni ed avere così anche tutto il tempo per aumentare la propria produzione, e tanti altri, non necessariamente meno validi, anzi, in più casi decisamente ammirevoli, a doversi barcamenare tra un lavoro che permette loro la sopravvivenza ritrovandosi però ben poco tempo, e le forze fiaccate, per la propria ricerca artistica, o con tutto il tempo a disposizione per l’arte ma, al tempo stesso, tristemente costretti in avvilenti difficoltà di sopravvivenza?».
La bellezza salverà il mondo, scrisse Dostoevskij, ma forse solo la risposta a questa domanda potrà salvare l’arte.
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